Breve storia di chiunque sia mai vissuto by Adam Rutherford

Breve storia di chiunque sia mai vissuto by Adam Rutherford

autore:Adam Rutherford
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2017-07-26T16:00:00+00:00


Parte seconda

Chi siamo oggi

4. La fine della razza

«Essendo un argomento avvolto da una tale quantità di pregiudizi, credo che eviterò di affrontarlo.»

Da una lettera di Charles Darwin a Alfred Russel Wallace, 22 dicembre 1857

Ottobre 1981, Capel St Mary, Suffolk

Quando ho incontrato il razzismo per la prima volta, io ero Leroy e mia sorella Coco. Eravamo al supermercato nel piccolo paesino del Suffolk dove vivevamo, Capel St Mary, quando dei bambini in bicicletta si rivolsero con quei nomi a me e alla mia sorellina di otto anni, diciassette mesi più piccola di me. A quell’epoca Saranno famosi spopolava in televisione e Coco e Leroy erano i due protagonisti. Di quello che accadde subito dopo ricordo due particolari. Il primo è che ci sembrò una cosa magnifica: Coco e Leroy erano due bravissimi ballerini, tutti e due afroamericani e molto affascinanti, Leroy musone e carismatico con le sue treccine, Coco tosta e bellissima.

L’altra cosa che ricordo è che mio padre era livido, furibondo. Forse quella reazione così risentita dipendeva dal recente assassinio del suo migliore amico Blair Peach, ucciso un anno prima da un poliziotto durante una manifestazione dell’Anti-Nazi League a Londra. Allora la reazione di papà ci lasciò molto sconcertati, soprattutto perché Coco e Leroy erano fighissimi. Immagino che, semplicemente, il nostro incarnato olivastro desse nell’occhio nel Suffolk rurale degli anni ottanta. A quel che ricordo, durante il tragitto verso casa io e mia sorella tentammo una serie di goffe spaccate.

Poco tempo dopo, durante il primo trimestre in una nuova scuola, un compagno di sette anni mi chiamò Paki. A quel punto ormai sapevo che si trattava di un’offesa, così gli diedi un pugno; nello stomaco, credo.1 Come fanno quasi tutti i bulli quando il bullizzato reagisce, anche lui corse in lacrime dall’insegnante e io fui chiamato nell’ufficio del preside. Il signor Yelland, che comprensibilmente aderiva a una politica di tolleranza zero nei confronti della violenza, era furibondo e io terrorizzato. Gli raccontai cos’era successo e lui mi gridò di andarmene, cosa che feci, ancora pietrificato. Apparentemente nei confronti del razzismo aveva una tolleranza meno di zero, e l’altro bambino per una settimana fu costretto a trattenersi a scuola oltre la fine delle lezioni.

Questi due banali esempi di episodi di razzismo all’acqua di rose sono assolutamente trascurabili, e non fingerò di aver dovuto sopportare chissà quali forme di razzismo in vita mia. Mia madre è indiana, ma io non sono particolarmente scuro e spesso vengo scambiato per un italiano o un ispanico. Ho un nome decisamente britannico e quel tipo di accento con cui si potrebbe ottenere un posto come speaker alla BBC. In India sono stato diverse volte, ma solo per turismo o per lavoro. Durante uno di quei viaggi ho ritrovato per così dire le mie radici, ma la cosa era di scarso interesse scientifico, avendo scoperto che il mio DNA materno sarebbe emerso da qualche parte nella regione di Mumbai probabilmente circa 20000 anni fa. Di certo non ho avuto alcuna epifania spirituale: sono indiano quanto lo è il cricket.



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